Un viaggio fantastico durante il quale Gennarino aveva potuto vedere dall’alto tutto ciò che non aveva visto nelle frettolose visite che aveva fatto, insieme a suor Carmela e a un piccolo gruppo di altri ragazzini. E anche nel sogno aveva tempestato di domande il suo angelo trasportatore. Voleva sapere dove si trovava il museo, di cui aveva sentito parlare, dove il casino della regina, dove fossero le scuderie con i cavalli che lui da lassù non vedeva. E poi, mentre sorvolavano la Porta di Mezzo, quando già si delineavano i cinque grandi viali che si irradiavano come interminabili lati di un magico pentagono, si era svegliato. Aveva però fatto in tempo a percepire il fruscio delle foglie degli olmi che ondeggiavano alla leggera brezza del mattino e il profumo della resina dei tigli, le cui foglie trasudavano lacrime profumate. Gesù, ma comme chiove! ripeté appena aperti gli occhi, guardando fuori. Come era diverso il tempo dei suoi sogni dalla realtà di quella giornata uggiosa, che si prospettava buia e fredda. Propete oggi dovevà piovèr, disse sottovoce, oggi che dobbiamo uscire a fare una passeggiata con suor Carmela. In realtà proprio quel lunedì era stata programmata un’uscita per un gruppo di bambini. Si trattava di un percorso breve, fino alla chiesa di S. Vincenzo Ferreri alla Sanità, per prendere accordi con il parroco, don Saverio riguardo al corso di catechismo che il gruppo di bambini doveva frequentare, in preparazione alla loro prima comunione. Don Saverio era stato categorico con suor Carmela. Fatemi venire i uagliune, lunedì, alle nove, se no, non li posso più iscrivere. E suor Carmela, aveva acconsentito ad accompagnare quei quattro diavoli, in modo da non contrastare il vecchio e burbero parroco della Sanità, che solo per l’insistenza della monaca aveva accettato di prendere 3 in carico, a corso già iniziato, quel gruppo di figli della madonna. Anche se l’uscita non era delle più invitanti, visto che si trattava di andare in chiesa, Gennarino era comunque eccitato all’idea di dover lasciare per qualche ora l’Istituto e si rammaricava di quella pioggia che sembrava non voler più smettere. Fu quindi molto felice quando suor Carmela venne a chiamarlo e lo invitò a prepararsi. Gli altri compagni erano già pronti e Gennarino si aggregò al gruppo, con il suo solito rumoroso e colorito campionario di versi, smorfie e commenti. Suor Carmelina a’ truppa è prontà, putimme partir ppe à spediziòn, disse rivolgendosi con un sorriso illuminante alla monaca, mentre si aggrappava alla sua mano e con l’altra si dava un’ aggiustatina al colletto della maglietta che nella fretta gli si era rivoltato sul collo. Aveva indossato la mantella impermeabile con il cappuccio che gli copriva la testa. Suor Carmela fece una rapida ispezione a tutti e quando gli sembrò che la pioggia fosse diventata meno intensa, decise di uscire. Il gruppo si mise in cammino per raggiungere via S. Teresa degli scalzi, per scendere al rione Sanità con l’ascensore che portava proprio sotto il ponte, a due passi dalla Basilica, conosciuta come la chiesa di S. Vincenzo Ferreri, detto o' Munacone, la cui grande cupola maiolicata era ben visibile, attraverso le alte inferriate che proteggevano il ponte. Si erano messi in cammino solo da qualche minuto, quando la pioggia cessò. Buona parte del cielo si liberò delle nuvole, che spazzate dal vento, lasciarono al loro posto una striscia di azzurro, brillante come il manto della Madonna del rosario che si trovava in una delle cappelle laterali della basilica, commentò suor Carmela, facendosi un rapido segno della croce, per ringraziamento. Arrivati all’ingresso della chiesa, i ragazzi rimasero affascinati della facciata con le sue decorazioni in stucco, ma principalmente dal campanile e dalla bella cupola rivestita in maioliche gialle e verdi e dall’alto campanile che affiancava l’ingresso della basilica, come una torre di guardia con il suo orologio. I numeri romani che indicavano le ore, erano anch’essi in maiolica gialla, con le lancette ferme sul numero dieci. Il parroco don Saverio, un vecchio dal carattere acido e dalla figura segaligna, con una vistosa voglia rossa sul collo, li accolse accanto ad una delle acquasantiere a muro che si trovavano ai due lati dell’ingresso, decorate con marmi di colori diversi e con impresso lo stemma dell’ordine dei domenicani. Suor Carmela fece le ultime raccomandazioni a denti stretti ai bambini e in particolare si raccomandò a Gennarino di comportarsi bene, di essere educato e di non farle fare brutte figure, altrimenti l’avrebbe pagata cara, al ritorno in istituto. Gennarino assunse l’espressione angelica che sapeva fare, quando voleva assicurarsi la fiducia di qualcuno, abbassò lo sguardo per terra, congiunse l’indice e il 4 medio della mano destra e con essi fece il gesto di sigillarsi le labbra, mentre alzava la mano sinistra, per suggellare un giuramento che, assicurava, avrebbe rispettato. Non ti preoccupare suor Carmela, disse in un sussurro, mentre si avvicinavano in fila indiana verso la figura allampanata del parroco che li attendeva, fermo come uno delle statue della sua chiesa. Lo sguardo severo dietro le lenti sottili dalle stanghette argentate e gli occhi da furetto che sembravano voler penetrare nell’anima, fissava con intensità, ora il gruppo dei ragazzini, ora suor Carmela, stranamente intimorita da quella presenza. Non vi faremo fare brutte figure, saretè fierà e’ nuje, aggiunse Gennarino in un sussurro, alzandosi sulle punte e accostando la bocca verso l’orecchio della monaca, mentre un sorriso sornione si stampava su quel viso vispo e paffuto, dal colorito roseo. Suor Carmela presentò al parroco quei quattro bambini che a turno, quando venivano chiamati per nome, come cani ammaestrati, correvano a baciare la mano protesa di don Saverio, accennando anche ad un inchino, che non era stato concordato e di cui la monaca, in cuor suo, si rallegrò. Don Saverio fece a tutti un piccolo discorso, poi fissò lo sguardo su Gennarino. C’era qualcosa che lo aveva colpito in quel ragazzino dagli occhi vispi e con quella luce particolare che sembrava abbagliare chi lo osservava. Il bambino notò questo interessamento, non si scompose, anzi, assunse l’aria più innocente possibile, giunse le mani, quasi stesse pregando e spostò lo sguardo verso l’altare maggiore, dove una doppia scalinata di marmi policromi si snodava verso il tabernacolo. Il parroco si rivolse prima a tutti, in dialetto, per essere sicuro di farsi capire e per attirare maggiormente la loro attenzione. Uaglione, me raccomando, pigliate chistu impègn assai seriamente. Poi indirizzò la sua attenzione a Gennarino. Non so perché ma io penso che tu aia’ essere o’ capo. Vir’ e filare diritt e e’ mettere in fila e’ tuoi compàgn. A quelle parole gli altri tre ragazzini cominciarono a sghignazzare, prima trattenendosi con la mano sulla bocca, poi con una risata incontenibile, cercando di nascondersi dietro suor Carmela che intanto era arrossita violentemente per il comportamento di quei lazzari. Ma la vera preoccupazione della monaca era per la reazione di Gennarino che, infatti, non si fece attendere. Ma qualè capò e capò, o capò e….Il bambino non fece a tempo a completare la frase, perché suor Carmela, con un gesto repentino, gli chiuse la bocca con la mano sinistra, mentre la destra si alzò in alto e stava per ricadere sulla faccia di Gennarino, con la stessa violenza e forza, con la quale in gioventù spronava l’asino nel podere del padre, quando s’incapricciava e non voleva più muoversi e trasportare la legna. Si fermò a mezz’aria solo perché in quel 5 momento l’organo cominciò a suonare e la chiesa fu invasa da un suono dolce e intenso, una melodia che rapiva e invitava al silenzio e alla meditazione. Dopo quel primo incontro, i ragazzi cominciarono a seguire le lezioni di catechismo settimanale, ogni lunedì. Così Gennarino e i suoi amici frequentarono per alcuni mesi la chiesa della Sanità. Le preoccupazioni di suor Carmela e del parroco si dimostrarono infondate, in quanto i ragazzini si rilevarono attenti e principalmente educati, durante gli incontri che ebbero con il parroco o un suo sostituto. Quello che si dimostrò più indisciplinato fu Gennarino, ma non per scostumatezza, ma per quel suo continuo chiedere spiegazioni di tutto e su tutto. Quel ragazzino metteva a dura prova la pazienza del vecchio don Saverio, il quale spesso era costretto a interrompere la sua lezione per zittirlo. Tu, int’a vocca tiene nu’ grammofòn stonàt ca aia spegnèr, gli urlava quando proprio non ne poteva più. Non mi puoi rompere i timpani con le tue continue domande. La fede, caro Gennarino, non chiede i perché, non fa domande, le cose si accettano e basta, si ubbidisce hai capito? Il ragazzino annuiva con la testa, per un po’ stava zitto, ma poi ricominciava con la sua litania dei perché, con le sue domande metafisiche, come chiamava quelle richieste di spiegazioni, o’ professòr Arturo. Tu bbuo’ fa’ troppò o’ filosòf, gli ripeteva continuamente l’istitutore e la stessa cosa gli diceva il parroco, il quale aggiungeva che per passare dalla porta del Paradiso, non c’era bisogno della filosofia ma della fede. Ma proprio del Paradiso Gennarino era curioso di sapere tutto. Monsignore, ma aro’ sta chiustu Paraviso, si può sapere? In cielo figlio mio, in cielo, rispondeva don Saverio, quando era di buon umore e qualche briciola di pazienza gli era ancora rimasta. Ma in cielo dove esattamente? Il parroco allora cominciava a spazientirsi, si toglieva gli occhiali, se li puliva, sospirava, volgeva gli occhi al cielo, come a chiedere aiuto al Padreterno. Poi si voltava verso l’altare, verso il tabernacolo, si faceva il segno della croce, diceva una giaculatoria indecifrabile, per prendere tempo, per non sbottare, per cercare di frenare la voglia forte che sentiva salirgli in petto di dare un ceffone a quel birbante, che non la finiva con le domande, che non si accontentava, come gli altri delle spiegazioni che lui propinava, ma continuava a tormentarlo.
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